Nel commercio, definire le categorie merceologiche aiuta a dare ordine all’assortimento, semplificare la classificazione dei prodotti e migliorare l’esperienza d’acquisto. Parleremo di tassonomia, segmentazione e logiche di scaffale per capire che cosa sono e come applicarle in negozio e online. Con esempi concreti e analogie operative, vedrai come sceglierle, mantenerle e misurarne l’impatto.
Le categorie merceologiche sono gruppi strutturati di prodotti che rendono chiari assortimento e prezzi, accelerano ricerca e report e abilitano decisioni più rapide. Scegli uno schema coerente, testalo su un campione, applicalo a tutto il catalogo e rivedilo periodicamente con dati e feedback.
Quali sono esempi di categorie merceologiche?
Una categoria merceologica è un contenitore con confini chiari che raggruppa articoli per uso, materiale, fascia di prezzo o pubblico. Immaginala come una mappa: al centro la famiglia prodotto, sotto le sottocategorie, fino ai singoli articoli.
Per esempio, nel food: “Bevande” → “Analcoliche” → “Bibite gassate” → lattina da 330 ml. Nella moda: “Abbigliamento” → “Uomo” → “Giacche” → blazer in lana. L’obiettivo è coerenza: gli articoli simili devono “vivere” vicini, per facilitare vendita, rifornimento e analisi.
Come si costruisce una tassonomia per un negozio?
Una buona tassonomia prodotti nasce da scopi chiari: vendita, logistica, analytics o tutti insieme. Progetta un albero semplice (3–5 livelli), con nomi parlanti, regole univoche di inclusione/esclusione e attributi misurabili (taglie, colori, materiali, formati).
Pensa al cliente: come cerca? per marca, per problema, per occasione d’uso? Rifletti anche sui flussi interni: picking, riassortimento, promo. Una tassonomia utile bilancia linguaggio del cliente e vincoli di magazzino, evitando tecnicismi oscuri e categorie sovrapposte.
Passaggi per iniziare
- Definisci l’obiettivo della classificazione.
- Mappa l’inventario in famiglie prodotto.
- Scegli uno standard o schema di riferimento.
- Progetta livelli e regole di naming coerenti.
- Valida con un campione di dati e colleghi.
- Applica, monitora e migliora a cadenza trimestrale.
Modelli e standard comuni
Per evitare ambiguità e favorire l’interoperabilità, molte aziende si appoggiano a standard diffusi. Questo rende più semplice dialogare con marketplace, fornitori e sistemi gestionali.
UNSPSC è uno standard globale e multisettore che fornisce codici gerarchici per classificare prodotti e servizi in modo coerente.
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The UNSPSC is an open, global, multi-sector standard that provides a hierarchical code to classify products and services.
Un altro riferimento è GS1 GPC, pensato per l’ecosistema retail e CPG: organizza gli articoli in livelli gerarchici strutturati e aggiornati periodicamente, con attributi standardizzati per confronto e scambio dati.
Oltre agli standard, esistono tassonomie pratiche di piattaforma (per esempio nei marketplace) che possono ispirare naming e livelli, pur mantenendo coerente la tua struttura interna.
Metodo pratico di classificazione
Puoi partire da un approccio iterativo: piccolo campione, feedback, allargamento. Le regole contano più delle eccezioni: scrivile, versionale e condividile con chi carica o analizza i dati.
- Raccogli requisiti: chi userà le categorie e per che cosa (scaffale, e-commerce, BI)? Definisci metriche di successo e confini del progetto.
- Inventaria: estrai elenco articoli, attributi, vendite, resi. Evidenzia duplicati e descrizioni vaghe; pulisci i dati prima di classificare.
- Disegna i livelli: da macro a micro (es. Reparto → Categoria → Sottocategoria → Linea → SKU). Mantieni 3–5 livelli per leggibilità.
- Etichetta con regole: usa esempi positivi/negativi e soglie. Dove ha senso, applica una classificazione ABC per priorità (A=critico, B=importante, C=residuale).
- Testa su un campione: carica 200–500 SKU pilota. Chiedi a venditori e buyer di rompere la tassonomia: scoprirai buchi e ambiguità.
- Applica e monitora: estendi al catalogo completo. Misura impatto su ricerca, tempo di picking, margine per categoria, errori di assegnazione.
- Manutieni: rivedi trimestralmente; aggiungi categorie solo quando ricorrono nuove famiglie, evita proliferazioni ad hoc.
Esempi pratici per settore
Gli esempi aiutano a trasformare concetti in decisioni operative. Ecco come può presentarsi la tassonomia in diverse filiere, con focus su chiarezza e manutenzione.
- Alimentari: Reparti per freschi, secchi, bevande. Sottocategorie per uso (colazione, snack). Attributi come formati, ingredienti, BIO. Evita miscele che confondono gusto e occasione d’uso.
- Moda: Uomo/Donna/Bambino, poi capi (pantaloni, camicie). Attributi: taglia, colore, tessuto. Inserisci una vista per stagione o collezione senza fondere logiche marketing e merceologia.
- Elettronica: Informatici, telefonia, audio. Sottocategorie per tipologia (laptop, tablet). Attributi tecnici standard (RAM, pollici). Documenta eccezioni per bundle e accessori.
- Casa e arredo: Zona (cucina, bagno), poi arredi (sedie, tavoli). Attributi: materiale, stile. Evita categorie duplicate come “sedie da cucina” e “sedie cucina”.
- Ferramenta: Utensili a mano, elettroutensili, ferramenta varia. Attributi: misura, passo, attacco. Tratta i consumabili separatamente per rotazione e riordino.
- Farmacia/Parafarmacia: Benessere, OTC, dispositivi. Attributi regolatori (forma farmaceutica) e di uso. Separa logiche regolatorie da marketing per evitare confusioni.
- Beauty: Viso, corpo, capelli. Sottocategorie per trattamento (detersione, idratazione). Attributi: tipo pelle/capello, attivi. Uniforma i nomi per comparabilità.
- Libri e media: Generi (narrativa, saggistica), temi, target. Attributi: formato, lingua. Gestisci collane e edizioni come meta-informazioni, non come livelli principali.
Metriche e manutenzione
Le categorie sono vive: si spostano con clienti e assortimenti. Monitora la qualità, accorpa dove serve, crea nuove voci solo quando una tendenza è stabile. Valuta anche un’analisi di Pareto per evidenziare le categorie ad alto impatto.
- Copertura: percentuale di SKU assegnati a categorie finali. Bassa copertura indica buchi di tassonomia o processi incompleti.
- Qualità dati: completezza e coerenza degli attributi (naming, codici). Gli errori ricorrenti suggeriscono definizioni ambigue.
- Ricerca e conversione: tasso di click dai menu, ricerche senza risultato, conversione per categoria. Picchi negativi guidano correzioni mirate.
- Rotazione e margine: vendite per categoria, giacenze, marginalità. Categorie lente o poco profittevoli vanno riviste o fuse.
- Tempo di picking: in negozio o magazzino, misurare minuti per categoria aiuta a ottimizzare layout e percorsi.
Errori da evitare e buone prassi
Piccoli errori costano tempo e confusione. Con alcune accortezze, la tassonomia resta leggibile e utile per tutti, dal buyer al commesso, dal data analyst al cliente finale.
- Non mischiare criteri: evita categorie che uniscono uso, materiale e pubblico in modo casuale. Scegli il criterio guida e rispettalo.
- Evita sinonimi e duplicati: definisci un vocabolario controllato e imposta regole di naming (singolare/plurale, accenti, abbreviazioni).
- Documenta le eccezioni: crea note “incluso/escluso” per le categorie più ambigue; riduce errori di assegnazione e ricarichi.
- Parti piccolo: lancia un pilota, misura l’impatto e poi estendi. La manutenzione è più economica di una grande ristrutturazione tardiva.
- Allinea sistemi: ERP, POS, e-commerce e BI devono leggere la stessa tassonomia; imposta mappature e test di coerenza.
- Assegna ownership: nomina un responsabile della tassonomia e un calendario di revisioni; evita “categorie orfane”.
Domande frequenti
Quanti livelli dovrebbe avere una tassonomia?
In genere 3–5 livelli bastano per chiarezza e manutenzione. Oltre, aumenta la complessità senza benefici proporzionali, salvo cataloghi molto tecnici.
Meglio dividere per brand o per uso d’acquisto?
Per uso d’acquisto: riflette la ricerca del cliente e riduce duplicazioni. Il brand resta un attributo filtrabile, non un livello della tassonomia.
Le categorie valgono sia per negozio fisico sia per e-commerce?
Sì. Cambiano interfaccia e filtri, ma la logica di base resta uguale: livelli chiari, nomi consistenti, attributi completi per confronto e ricerca.
Come gestire prodotti multiuso che “stanno in due categorie”?
Stabilisci una regola primaria (categoria d’uso prevalente) e, se serve, una vista alternativa tramite attributi o collezioni, evitando duplicazioni dello stesso SKU.
Quando rivedere le categorie merceologiche?
Ogni trimestre per piccoli aggiustamenti e una revisione più ampia annuale. Eventi straordinari (nuove linee, fusioni) richiedono verifiche dedicate.
Serve uno standard internazionale per iniziare?
No, ma aiuta. Puoi partire con una struttura essenziale e mappare in seguito a standard come GPC o UNSPSC per scambio dati e marketplace.
In sintesi operativa
- Le categorie merceologiche chiariscono assortimento e prezzi.
- Scegli uno standard o schema e mantienilo coerente.
- Parti piccolo, valida, poi estendi a tutto il catalogo.
- Misura copertura, qualità dati e impatto sui KPI.
- Rivedi categorie e regole almeno ogni trimestre.
Le categorie sono uno strumento organizzativo, non un fine. Parti dall’obiettivo, scegli uno schema chiaro e documentato, poi applicalo senza eccezioni casuali. Con poche regole ben spiegate e dati puliti, l’assegnazione diventa più veloce, i report più affidabili e l’esperienza cliente più semplice.
Fissa una cadenza di revisione, misura copertura e qualità, ascolta feedback da chi carica gli articoli e da chi vende al banco. Con questa disciplina, le categorie merceologiche restano comprensibili, utili al business e pronte a evolvere con assortimenti e tendenze.
