Negli ultimi anni c’è stata una crescente attenzione riguardo alla Cancel Culture, un fenomeno che ha destato non poche polemiche e dibattiti. Ma di cosa si tratta esattamente?

La Cancel Culture si riferisce a quella pratica che si sta diffondendo via social media, in cui gli individui o le organizzazioni si impegnano a boicottare o denunciare pubblicamente il comportamento o le parole di un’altra persona, tesi a condannare e isolare completamente quella persona dal discorso pubblico. In altre parole, è un fenomeno di ghettizzazione, che ha come obiettivo quello di limitare la visibilità e la credibilità di una persona in seguito a una “mancata” osservanza dell’enorme intricato mare di regole sociali sempre piu’ in evoluzione.

La Cancel Culture rappresenta una sorta di giustizia sommaria, basata sulla convinzione che il comportamento o le parole di una persona, passate o presenti, possano essere messe in dubbio e, quindi, passibili di essere giudicate in modo unilaterale da altre persone. Ciò significa che, una volta definito qualcuno come colpevole, non può essere più ascoltato, non ha più diritti, non ha più la possibilità di esprimersi.

La questo fenomeno è stato al centro di ampi dibattiti, specialmente nel mondo dell’intrattenimento, dove diversi artisti sono stati cancellati in seguito a controversie riguardanti la loro condotta o le loro opinioni politiche. Si è parlato di cultura delle denunce e di intolleranza. I sostenitori della Cancel Culture sostengono la necessità di punire comportamenti razzisti, sessisti, misogini, omofobici e trans, mentre i detrattori sottolineano il rischio di causare un aumento della censura, e il fatto che questo tipo di giustizia sommaria lascia poco margine per la discussione e il dialogo e che ,in molti casi, ignora il contesto in cui sono state pronunciate le parole o svolte le azioni.

La questione si fa ancora più complessa nel mondo accademico, dove la Cancel Culture ha significativamente cambiato il paesaggio accademico negli ultimi anni. Alcune figure pubbliche, come conduttori, professori e giornalisti, sono stati cancellati a causa delle loro opinioni o commenti fatti in pubblico. Queste cancellazioni non hanno solo causato la perdita di lavoro per queste persone ma anche la diminuzione della varietà di opinioni sui campus universitari.

In questo senso, la Cancel Culture assume un ruolo destabilizzante nel discorso pubblico. Sebbene alcuni possano obiettare che il cancellamento di una persona o di un’organizzazione sia giustificato dal fatto che ci sia un disegno più ampio a cui si sta contribuendo, questo tipo di attività mira a mutare il carattere dell’individuo e meno a risolvere il problema sottostante.

Inoltre, la Cancel Culture può anche portare a una posizione di “vigilanza costante” e di paura del giudizio. Le persone possono avere il timore di condividere le proprie opinioni per paura di essere cancellati e di perdere il lavoro o la reputazione. Il risultato è un silenziamento della liberà di pensiero e di parola. Il rimedio a questa sconveniente situazione è di adottare una cultura del dialogo e del rispetto reciproco.

In definitiva, la Cancel Culture potrebbe portare a risolvere alcune problematiche, ma i vantaggi a breve termine dovrebbero essere bilanciati con un’analisi delle conseguenze sul lungo termine per la società nella sua interezza. E’ importante infatti che mantengano un ruolo centrale la libertà di pensiero, l’empatia ed il dialogo interculturale.

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